E' sera, fa freddo fuori, i vetri sono pieni di brina, il giardino condominiale è una pista di ghiaccio per pattinatori professionisti, i bambini dormono ed è pure Halloween? Ok, non è che proprio proprio amiamo Jack O' Lantern alla follia, ma, via, uno scheletrino non ce lo leva nessuno.
Così, valà, mi leggo
di Jack The Ripper, che tanto sono solo 37 pagine, giusto il momento
a cavallo della mezzanotte, chè domani, all’alba, sarà già
troppo tardi e fuori luogo.
E
supponiamo – ci proveremo, poi vi daremo notizie – che "Keepsakes" 2011 letto al momento giusto, potrebbe
dare risultati eccezionali.
Insomma,
il pensiero allo specchio: rifletto sul mood, e POI scelgo il libro
(una sorta di “cherrypicking” de no' artri), perché DI SICURO,
tra tutto quello che questo signore all’apparenza modesto s'è inventato, qualcosa
di buono c’è.
Gli
amici di Zazie mi sa che ci andrebbero a nozze e il lettore rischia, vedi sopra, la dipendenza.
Ma
siì, ma siì (segue gesto vago con la mano destra, di polso, rotatorio da sotto in su, della serie go ahead, via, lascia correre, panta rei)... perché c’è il fascino della short story, quella cosa
che vedi e non vedi, una finestra aperta su un mondo già cominciato,
e che poi qualcun altro chiude così, all’improvviso, e per una
volta – finalmente – ti senti trascinato via, in balìa dello
scrittore che, con il lettore, fa quel che vuole lui. E’ l’arte
del togliere al posto del mettere, caratteristica principe del
racconto ben riuscito.
Un so-ma-non-so e e non posso sapere,
intuizioni di particolari minimi eppure pregnanti, descrizioni
accennate ma vivide e significative, dialoghi serrati perché
vincolati dall’economia della tipologia narrativa.
Perché
delle volte è molto più semplice puntare al malloppone in tre volumi
piuttosto che a un minimo sindacabile composto da 37 pagine fronte e
retro, come a dire, eh, mo' te voglio, a rifletterci sopra.
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