Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
Di cosa avete bisogno? Un thriller da leggere sotto l'ombrellone? Una commedia di raffinato humour per il fine settimana in campagna? La lettura di quel certo testo che vi incuriosisce tanto (ma che ancora non avete osato acquistare) deve essere di necessità attenta e scrupolosa oppure può adattarsi anche alle cinque fermate di metrò, il tragitto che tutti i giorni percorrete per andare al lavoro?
Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

sabato 26 febbraio 2011

"Parenti lontani", di Gaetano Cappelli - parte prima

More about Parenti Lontani Attenzione: dissertazione lunga, divisa in due parti per necessità.
Potete leggere la seconda parte qui

Non esistono altri parenti se non quelli lontani.

Quelli del nostro immaginario di bambini, prima di tutto. Perduti e mitizzati nell’esegesi di vecchie prozie sopravvissute ai cataclismi del tempo: lo zio Arcangelo, da non ben identificati “cannibali” africani trucidato (e poi divorato) quale martire conteporaneo e conservato – reliquia di stinco mummificato – in un sacrario luogo perduto tra i tetti e gli sgabuzzini della grande casa magica in cui Carlino trascorre infanzia e giovinezza; oppure quelli ancora da recuperare, i famosi Zii d’America, i fortunati, coraggiosi emigranti scampati a un destino di miseria feroce e degnamente rappresentati, al Paese, da tutto ciò che dell’America ne porta il sentore: apparecchi elettrici, frigoriferi, televisori, automobili; accessori per la toeletta, creme, bibite, canzoni, dischi, gruppi musicali, storpiature stridenti di benedizioni battesimali (Richard, Charles, William).

E poi ci sono quelli di cui non si sa più nulla: morti, sepolti, dispersi, partiti, dimenticati. Dall’America, dall’Argentina, dal Brasile, dalla lontanissima Asia riafforano, un passato pronto a ridestarsi quando meno te lo aspetti, grazie a smunte fotografie in bianco e nero pubblicate dalla locale gazzetta dell’emigrante, in cui riconosci (o ti pare di farlo) vecchi conoscenti, secondi cugini, lontani bisnipoti da parte materna, e finanche, impressi per caso, di traverso, in un angolo remoto dello scatto, giovani genitori alla prese coi primi sorrisi della vita adulta, carichi di aspettative e nostalgia.

Sicché, in brusca inversione di ruolo, i parenti lontani divengono coloro che – mai innalzati prima a rango di individui degni di memoria, ricordo e affetto - nel bene e nel male hanno popolato la nostra, quotidiana, esistenza di ragazzi di paese.
Nonnilde, un Mr Scrooge moderno e nichilista con tutto il suo carico di vestiti neri listati a lutto, grani di collane, sguardo arcigno da corvo menagramo, ira facile, borbottio continuo, naso e orecchie sempre all’erta.
E poi la caterva di zii, grassi e magri, lavoratori indefessi e perdigiorno senza ritegno, zitelli e ammogliati; genitori di frotte di cugine profumose, dai seni grossi e pesanti, sensuali e adolescenti, vergini promesse spose e candide amanti.

Un turbinio di personaggi così fantastici che più veri di così non si potebbe – ché ci pare di averli conosciuti tutti, uno per uno - persi in un realismo magico che va da Marquez all’Allende (e per parlar de’ no’ artri ricordiamo Ugo Ricciarelli con il suo “Il dolore perfetto, AME 2005”), e che ha attraversato tempi e Paesi, quale strumento d’eccellenza nell’economia del romanzo di formazione.
Quindi si sospenda il giudizio su presunte incredulità, coincidenze mirabolanti e incastri perfetti - una su tutte, secondo noi la più riuscita, l’apparizione di Charles, che come principe azzurro – alcolizzato e depresso, by the way, ma questo si scoprirà soltanto più tardi – si materializza, in tripudio di rombi e motori, benedetto da un sole d’autunno brillante, glorioso e terrone, svoltando l’ultima curva prima della piazza a cavallo dell’automobile magnifica e corredato da quattrini e moglie gnocchissima.

Il tutto è condito da paesaggi epici, evocativi, che amplificano i sentimenti e la magia del vivere attraverso il reale del quotidiano (una contestualizzazione specifica e particolareggiata) tramutato in magico e fantastico: gli appennini persi nella bruma della sera, la campagna pervasa dall’odore dell’estate e dal ronzio degli insetti, ma soprattutto, permeata da un’energia cosmica molto più potente – si scoprirà dopo – di quella svaporata da uno stinco putrescente, vero o falso che sia (si ricordi cosa dice Charles delle dita di San Gerolamo, moltiplicate almeno per cinque), o dalle arti circensi di un santone dalle (in)dubbie origini – dicevamo, la grande casa di famiglia, abbarbicata sul dirupo ed esposta, per tutte le sue quattro parti, ai venti gelidi dell’inverno e al sole a picco dell’estate meridionale.

Regni incontrastati di spifferi e polvere, le stanze e i corridoi labirintici di cui è composta - quasi fosse antro di una nuova (o antica) Sibilla Cumana (e Nonnilde non sfigurerebbe nel ruolo) – rivelano a Carlino il loro ruolo di vati, mutevoli e misteriosi, quasi fossero porte cangianti aperte su mondi nuovi e universi paralleli; di notte, quando il bambino, costretto dall’insonnia e dall’irrequietezza incipiente, non può fare altro che – aprendo e chiudendo gli interruttori a farfalla, spinto dal buio e dallo spavento - passarli uno per uno, i piedi gelidi a contatto con le mattonelle sbreccate dell’impiantito, nella ricerca (talvolta vana) del rifugio della sua stanzetta.
Saranno i rumori della notte ad accompagnarlo alla scoperta del flusso di energia, richiamo della terra e musica dell’animo, di cui la casa è fedele custode: il sonoro russare degli zii, i sospiri di estasi erotica delle cugine semi addormentate, il fruscio delle carte che Nonnilde gira e rigira tra le mani, china alla scrivania dello studio.
Le stanze abbandonate alla polvere rivelano pale d’artista sepolte sotto pesanti drappeggi, libri antichi dimenticati e accatastati in un tripudio di umido e muffa, accessi nascosti, mimetizzati da vecchie carte da parati ormai ingrigite dal tempo, che conducono a scale e corridioi misteriosi che sbucano, a loro volta, dopo giravolte e contorsioni, a sottotetti ricolmi di magia (si veda la stanza delle reliquie di zio Arcangelo) e abbaini a picco sul nulla del cielo e del mare (che non si vede mai, ma forse anche sì, solo se tieni gli occhi ben chiusi).


Seconda parte

venerdì 25 febbraio 2011

"Parenti lontani", di Gaetano Cappelli - intermezzo

"Parenti lontani", di Gaetano Cappelli - parte seconda

More about Parenti LontaniAttenzione: dissertazione lunga, questa volta, divisa in due parti per necessità.
Potete leggere la prima parte parte qui

Fedele il riflettersi, di questa casa così densa di odori e significati, nell’asetticità dell’appartamento che Carlo si trova ad abitare a New York. Specchio impietoso, rimanda immagini di pura – e stereotipata, si potrebbe pensare, ma non potrebbe essere altrimenti – follia incontrollata, così lontana dall’abbraccio (mefitico) della magione della sovrana Nonnilde. Così come i pub illuminati da neon e riflessi di flute e champagne fanno da preciso contrappunto al Patriarca e a tutti gli altri bar di paese che popolano il ricordo di Carlino. Ma con i raffronti potremmo andare avanti all’infinito.

Questo è il romanzo di formazione: la vita mirabolante, composta dal caso e poi mischiata e confusa dalle mani esperte (?) del destino imperscrutabile.
Prima, in un Sud che, nelle sue infinite particolarità, acquista il carattere dell’universale: “in ogni paese che si rispetti”, dice, saggio, Cappelli. Non solo al Sud, chiosiamo noi pudicamente. Poi, nell’America del Nuovo Mondo, delle possibilità infinite e del guadagno facile, alla conquista di un sogno americano che si fa via via più inconsistente e fugace e che si conclude – ma forse anche no – tra lande desolate coperte di neve, popolate da personaggi che del Sogno Americano ne hanno perse le tracce – o non le hanno mai volute seguire (malfattori esiliati, prostitute, indigeni del luogo, delinquenti, perdigiorno), al suono di canti lontani che riportano a echi di bambini (lo sceneggiato in tv e il fiume San Lorenzo), di fronte a quello che dal passato riaffora, come detriti sulla spiaggia dopo la tempesta e che prepara la via per un futuro ancora tutto da costruire, insieme a compagni di viaggio che nel bene e nel male quel Sogno Americano l’hanno fatto proprio, chi accettandolo in ogni sua forma e sfruttandolo a proprio piacimento (Pit) e chi, come Cybill (wow, il nome, vedi sopra alla voce Nonnilde e la Sibilla cumana) ne è rimasta vittima inconsapevole.
Ora, noi ci prenderemmo la libertà di un’ ultima oservazione sullo stinco di zio Arcangelo – per altro trafugato dalla sbarbina hippie di turno, convertita al punk nel giro di un’estate – e chissà che fine ha fatto, ci piace saperlo al sicuro, magari Carlino grazie il denaro della moglie sarà pure riuscito a recuperarlo.
Lo stinco di zio Arcangelo, dicevamo, allo stesso modo delle teche contenenti le reliquie dei santi, come Lo Romita de la Muntagna o il santuario del professor Sabino Corelli con i suoi misteri esoterici (quasi un’iniziazione mistica, a cui l’organista Medoro aveva dato avvio) non ha valore in sè, ovviamente, ma in quanto rappresentazione.
Di un mondo di supersitizione, credenza, tradizione, cultura e saggezza popolare che rimane vivo, e pregnante, per quei pochi – anche in esilio volontario, vedi zio Richard – che si sono presi la briga di coltivare, nonostante gli anni, il tempo, l’assoluta illogicità e l’evidente anacronismo.

Appunti. Stile e lettura.
Italiano ballerino, composito, variegato; si parte dalla lingua d’uso, corretta e precisa e addirittura ricercata nel lessico e nella forma (la subordinata la fa da padrone, con strutture a chiasmo, circolari e difficili, ma complete e bilanciate) per scivolare poi nella variante regionale e addirittura nel dialetto – comprensibile o meno.
Il florilegio di linguaggi atipici e lessico caratterstico testimonia la passione dell’autore per la parola scritta e la lettura onnivora: riviste di gossip, giornali di paese, enciclopedie, libri d’arte e archeologia, musica, affari, finanza.

Secondo esperimento, come accennavamo qui, di lettura “pesante”, ma che più veloce di così non si può.

lunedì 21 febbraio 2011

"Io sono Febbraio", di Shane Jones

More about Io sono febbraio Un poeta in prestito alla narrativa, questo Shane Jones, per una fiaba preziosa, di quelle che si raccontano ai bambini nelle notti di febbre, mentre il sonno va e viene e sotto le coperte fa sempre o troppo caldo o troppo freddo.

Una fiaba di mostri e creature fantastiche dalla faccia di uccello e ali di mantelli neri, spettri e fantasmi e spiriti maligni.
Poesia sussurrata da bisbigli infantili, piccoli oggetti di ogni giorno, di quelli che si trovano, spaiati come vecchi calzini, sparsi in giro per casa da manine minuscole e appiccicose e dimenticati per mesi sotto divani di stoffa e dietro ad armadi di legno pesante: matite smangiucchiate, fogli di carta azzurra ripiegati e sdruciti, monete, bottoni, disegni appena abbozzati, briciole di pane. E poi gli odori: miele e zucchero, menta e sapone, erba e sole sulle guance dopo un pomeriggio nel prato, riccioli di capelli umidi di sudore.

Funziona così, "Io sono Febbraio". La poesia del quotidiano, quel tanto che basta a rendere la magia delle ore che passano senza appesantirla di inutili ed eccessivi rimandi a finezze di vita che non competono alla maggior parte di noi, e di cui non ci sentiremmo parte.

Così, la tisana depurativa diventa solo foglie di menta, l'ecomoda a impatto zero è soltanto, alla fine, prato e legna, e case piccole e speciali, e movimenti lenti e maglioni di lana uno sopra l'altro per combattere il freddo dell'inverno. 
Una saggezza di nonni, parole mandate a memoria nel corso degli anni, passate ai nipoti da vecchi zii e bisnonne incanutite, scritte a matita sulla carta del pane e poi infilate, ripiegate in più parti, nella tasca della giacca di lana pesante: vitamina C, bagno caldo, idratare il corpo.
E poi il cibo per la mente, in un caleidoscopio di introspezione, cura di sè (“nutrire il proprio giardino interiore”, fare yoga e meditazione, trasformare le paure in desideri) e della propria famiglia - i giochi con i figli per esempio – vedi gli aquiloni dipinti sulle braccia di Bianca, da sua madre – quasi rituali apotropaici, celebrati nell’intimità del nucleo familiare, contro la tristezza e la sfortuna.
L’inverno come lo intendevano i nostri nonni, fatto di casa, caldo perché altrimenti ti ammali, riflessione e attesa per l’estate che verrà, contro la negazione più assoluta e radicale di tutto ciò che sia omologato e disgiunto da qualsiasi rapporto con la Natura e il nostro essere di Uomini, in continuo mutamento ed evoluzione.

Nota alla lettura:
Noi questo “Io sono Febbraio” l’abbiamo letto in ebook (le segnaleremo sempre, le verisoni eReader, con una tag apposita). Astrattezza della forma e della pagina, concentrazione massima sulla parola e sul contenuto. Questo ci piace dell’ebook. Per una volta, abbiamo dovuto cercarcele da soli le associazioni, chiudendo gli occhi e assaporando la parola (e in questo, non c’è che dire – vedi la voce “scelta inconsapevole" - ci ha aiutato l'intrinseca poetica del testo), lontani dalla foto di copertina, dallo spessore della carta, dalle pagine da piegare e fissare e sostenere. L’ebook è lettura astratta e rimandi nuovi che esulano dai sensi che conosciamo di più. E occorre, qui, aggiungerci anche la questione colonna sonora.

giovedì 17 febbraio 2011

"Appunti di un venditore di donne", di Giorgio Faletti

More about Appunti di un venditore di donne Milano non è per tutti, c'è poco da dire. Ne avevamo già parlato a proposito di "Tiratori Scelti" e "Tangenziali". Per Emmanuele Bianco erano i palazzoni della periferia nord e i quartieri satellite. Per Monina-Biondillo, l'infinito e periglioso cammino lungo via Corelli o il sole che al tramonto illumina le acciaierie dismesse di Sesto San Giovanni. Orgoglio o presunta superiorità poco ci azzeccano, è questione di mera identità geografica.

Per Faletti, Milano è un tempo, più che un luogo. I luoghi, poi, vengono da soli. Milano è quel momento, preciso, perfetto, da cui siamo passati tutti noi, milanesi di origine o di lunga adozione; forse, per scelta o necessità, lo abbiamo soltanto sfiorato, forse invece lo abbiamo vissuto appieno.
Quel momento di sospensione del respiro, in attesa del giro di vento, quando l'alba ha ancora da venire e comincia a specchiarsi nell'acqua del Naviglio, e profuma di aria fresca e cielo chiaro.
Quell'attimo preciso in cui il pomeriggio lascia il posto alla sera, un momento che sa di attesa elettrica, chiacchiere e persone e gente e mete nascoste, da evitare, o da raggiungere.

I luoghi sono quelli di sempre. Brera e le vie intorno, con il Byblos, gli altri locali, la sede del Corriere e quel Classico famoso che qualcuno di noi ha frequentato; i Navigli che sanno di osterie, vino e sapori antichi di nonni operai in fotografie color seppia. I teatri del centro con l'odore di polvere e palcoscenico, i cinema di Corso Vittorio Emanuele quando i multisala erano ancora soltanto un'idea. La Bovisa, i bar malfamati, la periferia più scura e nera.

Questo vorremmo annotarci, di Faletti. Questa esegesi del luogo che rende l'opera quasi privata, dialogo intimo tra scrittore e lettore consapevole. Ma si sa, noi siamo di parte, perché teorici massimi della contestualizzazione assoluta e necessaria, più volte ribadita, e dell'analisi un po' scolastica - e un tantino antropologica - del testo (anche disgiunto dalla trama).
Sicchè si comprende bene lo scartamento di chi, trovatosi di fronte a un thriller sui generis, così diverso dai precedenti, accusa noia e torpore. Quindi, attenzione all'approccio, perché c'è da rifletterci (e si veda quel che capita digitando su Google "D'Orrico - Faletti").