Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
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Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

lunedì 11 ottobre 2010

"Lasciami entrare", di John Ajvide Lindqvist

More about Lasciami entrare La questione non era tanto leggere qualcosa di inatteso. Era verificare le potenzialità di un anti – Twilight interessante ed emotivamente coinvolgente, delirio erotico a parte.

Se di Twilight, più che la trama in se’ e lo sviluppo dei personaggi, interessava la love story e la presenza scenica del bel vampiro Edward, qui siamo al lato opposto della questione. 
Andiamo per appunti sparsi, segnati a margine, a matita.
  • Thriller di atmosfera e sensazione, dalla contestualizzazione forte e priva di qualsiasi, ipotetico, fraintendimento. Avevamo già parlato in più di un’occasione della problematica “contestualizzazione” (vi rimandiamo, una per tutte, all’Irene di “Due”). Qui, inutile pensare a una Forks che potrebbe essere benissimo Forks ma anche altro da sè – perché tanto la storia, in piedi, ci starebbe lo stesso. Qui se non pensi al freddo, alla neve, all’autunno che cede il passo all’inverno del nord, al ghiaccio e alla neve, troppo avanti non vai.
  • E troppo avanti non ci vai neppure se non pensi alla gente del nord, al modo di concepirne l’esistenza, tra una natura selvatica con cui dover, di necessità, fare i conti, che rende selvatici e istintivi anche nell’animo e nell’azione. E ne avevamo parlato, anche di questo, qui (Jostein Gardeer), proprio a definire la questione del romanzo di “nicchia” (doverose le virgolette visto il successo di pubblico).
  • Personaggi. L’arte del comprimario va studiata a tavolino. Non si lavora su una troppo semplice dicotomia Edward-Bella / Oskar-Eli, ma su una struttura corale che passa fluida tra situazioni e personaggi, a dipingere così un quadro minuzioso e specifico di una realtà che, ancora una volta, non può essere sostituita da altro. Pensiamo alle “amiche” di Bella, che a mano a mano spariscono nel filone del “non convincente”. Pensiamo alla famiglia Cullen, rispolverata solo e soltanto al bisogno. L’Irene, nella sua biografia, ci parla dell’importanza del (twitterando), background; ovverosia, trattare il personaggio secondo una sua propria autonomia individuale ed inserirlo all’interno del romanzo soltanto in seguito: solo creandone PRIMA la storia e la biografia, e utilizzandone, DOPO, gli stralci necessari. La tecnica rende il personaggio consistente e sfaccettato, e permette di lasciare in ombra – o di rivelare alla luce del sole- quegli aspetti utili allo svolgimento della trama evitando che la figura risulti creata secondo artificio. La madre di Oskar, il padre, Tommy, il gruppo dei bulletti del quartiere; gli amici del ristorante cinese del venerdì sera. Virginia. Il maestro di ginnastica, il poliziotto “buono” (che apre e chiude la narrazione).
  • E’ un po’ una questione di prospettive, un rimettere a fuoco la situazione: fare il vampiro non è glamour. Non indossi vestiti firmati, non guidi macchine sportive, se ti mostri alla luce del giorno vai arrosto, al sangue umano non c’è alternativa (altro che cacciagione e vegDiet). Hai artigli e ali e denti aguzzi che ti spuntano dappertutto, dolorosamente, anche quando meno te lo aspetti. Puoi anche possedere denaro e beni voluttuari, ma non sai che fartene. Oggetti misteriosi dal sapore antico persi in scatoloni di cartone ammuffito. Banconote arrotolate alla bell’e meglio, nascoste sotto materassi sdruciti e giacigli di fortuna in appartamenti sporchi e deserti che mai ti apparterranno davvero. E’ la solitudine straniante dell’essere umano che non è più tale, perché sradicato dalla comunità, dagli affetti e dal PROPRIO tempo all’interno del mondo. E’ l’idea dell’assassinio e della violenza insita nella creatura mostruosa, un che di terrifico e bestiale che non può essere né mitigato, né taciuto, né controllato con la sola forza del raziocinio. Nessuno è fatto per essere vampiro (a differenza di quanto pensa Bella, secondo cui la vita vampiresca potrebbe essere molto meglio della sua, sfigatissima, vicenda umana), perché il vampiro è un abominio del pensiero, del corpo e dell’azione (si vedano le pagine relative all’ “iniziazione” di Eli): è un bambino castrato nel corpo e nell’animo, violentato e seviziato.
Il messaggio che Eli e Bella ci offrono, diametralmente opposto, vale una riflessione. Quella sulla condizione umana, che per quanto misera possa sembrare – o essere – val sempre la pena di vivere in tutta la sua essenza.

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