Con "La morte delle api" Lisa O'Donnel, un'altra scrittrice UK (almeno di origine - scozzese: ora vive a LA) si imbarca nella difficile avventura del raccontare il Grande Impero alle giovani generazioni. Non di come lo si vorrebbe che fosse (ancora), o di come lo si immagina che sia (ancora), ma di come in effetti è. Sono molti i tratti che accomunano i lavori degli scrittori che si cimentano in una simile impresa (da Zadie Smith a Nick Hornby) e su questi tanti uno spicca in particolare, ben presente anche nell'opera della O'Donnell: l'assoluta lucidità di giudizio, che grazie al fatto di essere sostenuta da una profonda cultura letteraria, storica e antropologica, non scade mai né nel romance sentimentale né, al contrario, in un didascalico e asettico naturalismo.
Una storia a tre voci, narrata in prima persona pezzo per pezzo (come la camminata del gambero, due passi avanti e uno indietro) da tre punti di vista diversi e complementari: quello delle sorelle Marnie e Nelly Doyle - rispettivamente di quindici e dodici anni - e dell'anziano vicino di casa Lennie.
“Oggi è la vigilia di Natale. – ci
illumina Marnie nell'incipit, con quel misto di rudezza e spavalderia
a cui presto ci abitueremo – Oggi è il mio compleanno. Oggi compio
quindici anni. Oggi ho seppellito i miei genitori in giardino. Non
mancheranno a nessuno”. (p9)
Si perché la provincia suburbana in
cui Lisa O'Donnell ci proietta tutto d'un colpo non è quella
pittoresca dei cottage ottocenteschi, degli inner-pub cari ai turisti
di tutto il mondo, dei golosi cupcakes burrosi e della Royal Family in abiti
confetto. E' il regno di Mark, Spud, Sick Boy, Tommy e Francis: un
mondo lontano, fatto di villette fatiscenti circondate da
giardini-discarica dentro le quali adulti quarantenni, disoccupati,
perennemente ubriachi e strafatti giocano a fare i genitori
occupandosi alla bell'e meglio di figli appena preadolescenti e già
corrotti dalla delinquenza, dall'alcool e dalle pasticche, nella più
assoluta indifferenza generale che regna sovrana all'interno di
questi quartieri-dormitorio.
“Adesso ci sono immigrati con lauree
che si prostituiscono, vendono droga e fanno tutto quello che devono
per sopravvivere all'inferno che chiamiamo asilo politico. Immagino
che i veri eroi siano quelli che vengono qui e sopportano i buoni
alimentari, gli abusi della gente, i vestiti di seconda mano e le
case diroccate, per non parlare delle montagne di scartoffie
necessarie per farsi accettare in un Paese che non conosce neppure la
tua lingua” (p18-19)
“Insegnano persino il gaelico, anche
se non capisco a che diamine serva. (…) Dovrebbero insegnare lo
spagnolo e il francese, e anche il tedesco, le lingue del mondo (…)
e invece devi pensare alla Scozia (...) sempre a rimestare nel passato,
con un Parlamento che dà la priorità alla lingua parlata in posti
senza nessuna opportunità lavorativa, piccole isole dove allevano
mucche e si sposano tra parenti” (p52)
Un girone infernale di una banlieue multietnica all'interno della quale Marnie non si dimostra eccezione:
a quindici anni fa sesso non protetto con chi le capita a tiro – e
con chi la costringe a farlo - e si è già sottoposta ad un aborto;
beve, prende pasticche (quando capita le smercia anche), è sboccata
e fa di tutto per non piacere a nessuno – e per la verità
all'inizio non piace neppure al lettore. E' irritante e sgradevole,
questa ragazza-bambina che avrebbe tutte le carte in regola per
emergere (una su tutte, la passione per lo studio e per la scuola che
la porta ad ottenere sempre i voti migliori della classe) e che
invece fa di tutto per perdersi, vittima di una disperazione profonda
e inenarrabile:
“Noi siamo qualcosa che le era
accaduto e anche se ci teneva le mani e ci baciava la fronte e
qualche volta ci rimboccava le coperte, noi suoi occhi c'era sempre
un battito, come se pensasse *Che ci faccio qui*” (p56-57)
“L'intelligenza dovrebbe essere la
ricompensa per le vergini non fumatrici di questo mondo, non per
un'adolescente moralmente corrotta con due tossici sepolti nel
giardino di casa” (p33)
La trama è tutta qui, poche parole
messe in fila da Marnie, un pugno di briciole che una ragazza
interrotta ci lancia sotto al tavolo, come dar degli avanzi a un cane
di casa un po' disprezzato. Eugene e Isabell sono morti – in che
modo lo sapremo poi – e le due ragazze ne hanno seppellito i corpi
in giardino, terrorizzate all'idea dell'arrivo dei servizi sociali.
Sì, perché tempo un anno e Marnie avrà sedici anni e diventando
maggiorenne potrà occuparsi per legge di se stessa e della sorella
Helen – detta Nelly. Ragazza bellissima, dal talento musicale
perfetto, e affetta da una grave forma di autismo. E' una corsa
contro il tempo quella di Marnie e Nelly, che si impegnano con tutte
le loro forze per nascondere la verità dei due corpi distesi sotto
pochi centimetri di terra dura e incolta, in un crescendo di bugie e
inganni costruiti ad arte per celare l'orrore scavato nel giardino e
nell'anima.
Siccome però il diavolo, come si dice, fa
le pentole ma non i coperchi, ecco lo zampino dell'imprevisto che fa
cu-cu dalla porta sul retro, impersonato da tutta una congrega di
comprimari che regalano alla trama la varietà di cui necessita per
sostenersi fino all'epilogo della vicenda.
Abbiamo Lennie, il vicino di casa, ora
vecchio e malato, che si prende l'onere di accudire le due ragazze
fintanto che i genitori non torneranno (partiti, a quanto dice
Nelly, per un lungo viaggio in Turchia) nel tentativo di salvare se
stesso purgandosi del male commesso in passato. Mick, il proprietario
del carretto dei gelati, alias lo spacciatore a cui Eugene deve una
cospicua somma, più che mai deciso a recuperare il bottino visto che
Vlado, il pusher della zona, un quarantenne di origini russe che di
segreti ne nasconde più d'uno, lo stringe d'assedio e lo minaccia di
morte nel caso in cui non riesca a consegnare la cifra dovuta. E poi
ancora, come se non ne avessimo già a sufficienza, il nonno
MacDonald, ubriacone di vecchia data, che riemerge dal nulla dopo
decenni di latitanza illuminato – pare – dalla luce divina della
conversione religiosa e convinto più che mai a riallacciare i
rapporti con la figlia Isabell; le amiche di Marnie, Kimberly “Kimbo”
e Susie; e infine il giovane Kirkland, di buona famiglia, innamorato di Marnie
o forse soltanto delle pastiglie che lei ogni tanto gli vende.
Se Marnie è il buio che inghiotte,
Nelly è la purezza del sentimento e dell'innocenza che rimane tale
anche nell'orrore, ma non per consapevole sforzo e presa di posizione
quanto per un puro atto di inconscia follia. Ti stringe il cuore
questa bambina spaurita ignara delle brutture del mondo eppure
così presente a se stessa, pronta a tutto pur di difendere le
persone amate – Marnie su tutti.
“La morte delle api” è una fiaba
horror da leggere tutti insieme, nonni e nipoti, papà e figli, nella
notte di Halloween; ma è anche, e soprattutto, un dipinto crudo e
veritiero del mondo che ci circonda. L'abilità dell'autrice, che non
per nulla con questa opera ha vinto il Commonwealth
Prize 2013, è la grande sensibilità mostrata nell'affrontare temi
difficili attraverso una narrazione sempre lieve e delicata eppure
scevra da qualsiasi emendamento di carattere censorio. Una
scrittura precisa che senza tanti giri di parole ma mai in
maniera cruenta e gratuita racconta alle giovani generazioni quel
qualcosa di “meno buono” che esiste in quella parte di
mondo allo specchio in cui le
api muoiono.
Buona lettura :)
ps. Domande, domande, domande. La trama non vi è nuova? Perché qui noi si parlava di "grado zero"? CVD.
ps. Domande, domande, domande. La trama non vi è nuova? Perché qui noi si parlava di "grado zero"? CVD.
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