Perché racconta un'esperienza
personale dettagliata e inconfondibile, senza però che l'autobiografia
risulti così invasiva da limitare un'eventuale immedesimazione da
parte del lettore. La storia di Enrico, il suo romanzo di
formazione è personale e circoscritto ma è anche un manifesto di
una generazione all'interno della quale molti non faranno fatica a
collocare il proprio vissuto giovanile.
Gli anni settanta, gli studi
classici in un liceo fortemente politicizzato, i primi approcci con
le estremizzazioni sociali; i fatti di cronaca, l'Italia del boom
economico; la formazione personale tra le lettere antiche e quelle
moderne, la filosofia, la musica, la poesia.
Un contesto strutturato
e contestualizzato con forza, anche geograficamente, cui va
riconosciuto il merito del non-autocompiacimento: non siamo di fronte
al solito romanzo sugli anni Settanta farcito di tutti quegli attributi
(dagli eventi di cronaca più invasivi alla nota marca popolare della
crema per le mani, per dire) che soltanto perché inseriti con agio
nel contesto sembrano delle volte sufficienti a caratterizzare
l'epoca. Gli anni Settanta di Carofiglio passano a volo, spesso solo
intuiti, come è giusto che sia, mischiati com'erano anche nella
realtà concreta di chi li ha vissuti alle esperienze pregresse e ai
decenni precedenti in un turbinio di passato-presente difficile da
riconoscere, identificare e catalogare.
Per i personaggi: credibili e ben
delineati ma mai eccessivi. Il protagonista, Enrico, uno scrittore quarantottenne in
crisi di ispirazione, è sì un personaggio da romanzo, con una vita
particolare, ricca di eventi ed esperienze. Eppure non è dissimile
dall'uomo della porta accanto, vittima della salute che va e che
viene, di un matrimonio fallito per le cause più banali, di una
certa (colpevole) inedia di azione e di espressione che tutti
conosciamo bene, avendo essa fatto parte, almeno per qualche momento,
della vita di ognuno. Celeste, la professoressa supplente di
filosofia che tanta parte ha nell'impianto narrativo:
intellettualmente affascinante, coltissima, giovane e di
bell'aspetto, non manca di presentare zone d'ombra inevitabili e
“naturali” - una certa fascinazione per gli estremismi politici
per esempio, o certi “cedimenti” passionali, sentimentali e
ideologici - attribuibili certamente alla giovane età e ad una
maturità professionale ancora lontana da raggiungere. Il compagno di
classe Salvatore, il deux ex machina che mette in moto,
inconsapevolmente, tutta la vicenda, quella presente e quella
passata: un ragazzone figlio dei vicoli di Bari vecchia,
intelligente, desideroso di emancipazione sociale ma incostante negli
studi, irrefrenabilmente irretito dalle lusinghe della lotta di
classe e dalla violenza di strada, alla quale inizia anche il
protagonista.
Per stile, forma, lessico.
Esemplificativa la scelta della seconda persona singolare, secondo la
stessa ammissione dell'autore nelle numerose interviste rilasciate:
un “tu” che scinde il protagonista da se stesso creando una
struttura complessa e bipolare tra un “presente-tu” (Enrico
adulto) e un “passato-io” (Enrico adolescente).
Una scrittura
quasi colloquiale, intima, ricca di aggettivazione ma mai ridondante,
specifica nelle subordinate eppure sempre lineare nella consecutio
della narrazione.
Un romanzo (magari, meglio: un racconto
lungo) studiato, che a prima vista parrebbe osare poco, specie nel
finale che è lasciato quasi incompiuto. Eppure un'opera completa
proprio nella sua sospensione di giudizio: una narrazione pulita, in
cui è giusto che non tutto vada raccontato.
Buona lettura :)

