Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
Di cosa avete bisogno? Un thriller da leggere sotto l'ombrellone? Una commedia di raffinato humour per il fine settimana in campagna? La lettura di quel certo testo che vi incuriosisce tanto (ma che ancora non avete osato acquistare) deve essere di necessità attenta e scrupolosa oppure può adattarsi anche alle cinque fermate di metrò, il tragitto che tutti i giorni percorrete per andare al lavoro?
Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

sabato 11 gennaio 2014

"Il bordo vertiginoso delle cose", di Gianrico Carofiglio

Più riguardo a Il bordo vertiginoso delle cose Equilibrio, veniva da pensare leggendo questo Carofiglio.

Perché racconta un'esperienza personale dettagliata e inconfondibile, senza però che l'autobiografia risulti così invasiva da limitare un'eventuale immedesimazione da parte del lettore. La storia di Enrico, il suo romanzo di formazione è personale e circoscritto ma è anche un manifesto di una generazione all'interno della quale molti non faranno fatica a collocare il proprio vissuto giovanile. 
Gli anni settanta, gli studi classici in un liceo fortemente politicizzato, i primi approcci con le estremizzazioni sociali; i fatti di cronaca, l'Italia del boom economico; la formazione personale tra le lettere antiche e quelle moderne, la filosofia, la musica, la poesia. 
Un contesto strutturato e contestualizzato con forza, anche geograficamente, cui va riconosciuto il merito del non-autocompiacimento: non siamo di fronte al solito romanzo sugli anni Settanta farcito di tutti quegli attributi (dagli eventi di cronaca più invasivi alla nota marca popolare della crema per le mani, per dire) che soltanto perché inseriti con agio nel contesto sembrano delle volte sufficienti a caratterizzare l'epoca. Gli anni Settanta di Carofiglio passano a volo, spesso solo intuiti, come è giusto che sia, mischiati com'erano anche nella realtà concreta di chi li ha vissuti alle esperienze pregresse e ai decenni precedenti in un turbinio di passato-presente difficile da riconoscere, identificare e catalogare.

Per i personaggi: credibili e ben delineati ma mai eccessivi. Il protagonista, Enrico, uno scrittore quarantottenne in crisi di ispirazione, è sì un personaggio da romanzo, con una vita particolare, ricca di eventi ed esperienze. Eppure non è dissimile dall'uomo della porta accanto, vittima della salute che va e che viene, di un matrimonio fallito per le cause più banali, di una certa (colpevole) inedia di azione e di espressione che tutti conosciamo bene, avendo essa fatto parte, almeno per qualche momento, della vita di ognuno. Celeste, la professoressa supplente di filosofia che tanta parte ha nell'impianto narrativo: intellettualmente affascinante, coltissima, giovane e di bell'aspetto, non manca di presentare zone d'ombra inevitabili e “naturali” - una certa fascinazione per gli estremismi politici per esempio, o certi “cedimenti” passionali, sentimentali e ideologici - attribuibili certamente alla giovane età e ad una maturità professionale ancora lontana da raggiungere. Il compagno di classe Salvatore, il deux ex machina che mette in moto, inconsapevolmente, tutta la vicenda, quella presente e quella passata: un ragazzone figlio dei vicoli di Bari vecchia, intelligente, desideroso di emancipazione sociale ma incostante negli studi, irrefrenabilmente irretito dalle lusinghe della lotta di classe e dalla violenza di strada, alla quale inizia anche il protagonista.

Per stile, forma, lessico. Esemplificativa la scelta della seconda persona singolare, secondo la stessa ammissione dell'autore nelle numerose interviste rilasciate: un “tu” che scinde il protagonista da se stesso creando una struttura complessa e bipolare tra un “presente-tu” (Enrico adulto) e un “passato-io” (Enrico adolescente). 
Una scrittura quasi colloquiale, intima, ricca di aggettivazione ma mai ridondante, specifica nelle subordinate eppure sempre lineare nella consecutio della narrazione.

Un romanzo (magari, meglio: un racconto lungo) studiato, che a prima vista parrebbe osare poco, specie nel finale che è lasciato quasi incompiuto. Eppure un'opera completa proprio nella sua sospensione di giudizio: una narrazione pulita, in cui è giusto che non tutto vada raccontato.

Buona lettura :)

mercoledì 1 gennaio 2014

"Gli sdraiati", di Michele Serra

Più riguardo a Gli sdraiati E' inutile stare qui a raccontarci delle storie. Diventare genitori è come sopravvivere a un maelstrom tropicale, che ci lascia nudi e infreddoliti, tremanti di paura, sulla spiaggia neanche tanto ospitale di un'isola sperduta chissà dove. Probabilità di essere recuperati in tempi brevi da una motovedetta di soccorso: zero.

“Quante volte invece di mandarti a fare in culo avrei dovuto darti una carezza. Quante volte ti ho dato una carezza e invece avrei dovuto mandarti a fare in culo” (p12) sintetizza magistralmente MSerra.

Per non parlare di colui che, avventatamente, anela a un po' di meritato riposo da godersi, pregustando il momento, una volta che i figli abbiano passato l'età infantile (basta notti insonni, basta malanni dai nomi sconosciuti e dalle eruzioni cutanee ancora più misteriose, basta età dei perché e dei percome): ahinoi, clamoroso errore. Perché allo struggimento del fisico, provato da anni di malattie esantematiche, otiti e streptococchi di qualsiasi calibro e misura che la prole ha avuto il merito di passare, potenziati a mille, al genitore sistematicamente immunodepresso, farà seguito lo struggimento dell'animo. E per quello non c'è antibiotico che tenga.

“Ho la nitida sensazione che questo – esattamente questo – sia l'ultimo istante della tua infanzia. Scomparirà per poi riapparire sempre più raramente, nel corso degli anni, quel bagliore infantile che perfino nei vecchi ogni tanto rivela le tracce dell'inizio. Ma in questo momento il tuo volto addormentato ha una tale purezza di lineamenti da sembrare mai più eguagliabile, e dunque definitiva: contiene il suo addio agli anni (pochi) dell'innocenza” (p20)

“Non so cosa darei per potermi sedere con te, in un momento qualunque della nostra vita, davanti allo stesso paesaggio, e condividerne in silenzio la forma e l'ordine” (p45)

“Ho temuto di avere abdicato, come padre, e di averlo fatto per comodità e pigrizia. Ma al tempo stesso valutavo l'insincerità che mi sarebbe stata necessaria per fingermi depositario di un ordine vero, articolato in regole ferree e punizioni esemplari. Tra simulare un'autorità ben strutturata ma finta, ed esercitarne una gracile e fluttuante, però autentica, che cosa è peggio?” (p88)

Fare il genitore è, in sostanza - e a parte rari momenti di un qualcosa che potrebbe (potrebbe) accompagnarsi a sostantivi tipo: serenità, soddisfazione, gioia, appagamento e finanche felicità (uh) - una questione di coperte troppo corte; quelle che se ti copri la testa poi passano fuori i piedi e che sono pure un po' mistolana sintetica: non scaldano quando fa veramente freddo ma se ti ci arrotoli troppo dentro fai delle sudate da guinnes.

Nella speranza di arrivare un giorno, guardando i nostri figli, a dire: finalmente posso diventare vecchio.

Buona lettura (e buon anno) :)

Post scriptum: questo post è per una cara amica il cui nome inizia per I.
Io sono sempre stata convinta che i libri belli non capitano per caso. Se ne trovi uno sul comodino, e non sai come sia piovuto in casa, allora quello è il Libro Giusto. E' il Grande Demone Celeste dei libri, a parlarti. Sussurra, bisbiglia, devi stare pronto ad ascoltarlo perché passa solo ogni tanto e nemmeno a cadenza regolare, altro che SantaClaus. Quindi, grazie. E a buon rendere. (Le chiacchierate sull'inadeguatezza ci salveranno).  

martedì 31 dicembre 2013

"Ida" - "Legami di sangue", di Irene Némirovsky



Giorni passati, su Twitter, girava questo intervento qui, a firma Paolo Di Paolo, pubblicato sul blog di #Masterpiece in data 19 Dicembre (aperta e chiusa parentesi: leggetela, l'Officina Masterpiece, capita che spesso sia più interessante del programma in sé). 

In specie, quindi, si parlava del diventare scrittori: processo che, non v'è dubbio alcuno, presuppone una sistematica, metodica, difficile, ardua, infinita gavetta ...da lettore.

Ora. Parlando di scrittori da imitare, io pensavo che se proprio dovessi mai cimentarmi nella difficile arte della scrittura, ecco, una da tenermi cara sarebbe davvero l'Irene, con le sue descrizioni dell'Essere Umano, di cui non è mai avara, in nessuna delle sue opere.

Perché l'Irene ha del metodo. Se l'è studiata la questione, questo è evidente, aggiungendo a quel talento narrativo che innegabilmente possiede – condito da una buona dose di sensibilità e intuito - un'osservazione analitica che, si capisce, viene dallo studio e, a sua volta, dalle letture personali di cui non ha mai fatto mistero, anzi: spesso nelle interviste rilasciate alle riviste dell'epoca la si vede soffermarsi con affetto e reverenza sulle proprie frequentazioni letterarie.

Maestrina dalla penna rossa sempre in lotta con se stessa alla ricerca dell'eccellenza intellettuale, è avvantaggiata da una condizione patrimoniale evidentemente di prestigio – almeno al principio - che le offre del materiale ricco e sempre nuovo su cui riflettere e con cui esercitarsi. 
Frequentazioni d'elite, alta letteratura internazionale ma non solo. L'Irene mostra un interesse vivo, sincero e curioso, indubbiamente scevro da patemi neo-veristi, anche - e vien da dire nonostante il di cui sopra status sociale - per qualsiasi espressione artistica che abbia il merito di impiegare la fisicità dell'espressione individuale: variété, avanspettacolo, café-chantant e cinema, prima muto e poi parlato, tutto fa numero e poco importa che poi questa materia venga utilizzata per completare il romanzo di una vita o per recuperare (come in questo caso) il denaro necessario a tirare avanti attraverso collaborazioni a contratto.

Sicché l'Irene si inventa uno standard tutto personale, una firma leggera e onnipresente, briciole di pane a guidarla sulla difficile strada della scrittura come erano gli esametri delle formule omeriche per gli aedi alla corte dei vecchi re barbuti.

Prima solitamente guarda al volto: gli occhi, la forma del viso, la carnagione, il naso, la bocca. Poi un passo indietro, per dar forma a capelli, orecchie, spalle. E' un primo piano cinematografico che meticolosamente sposta e allarga: tronco, arti, altezza, peso, portamento; poi abiti, movimenti in campo lungo a ricollocare la figura nello spazio teatrale della scena. Conoscere l'Uomo per interpretare il presente, alla luce del passato, e dar forma al futuro.

“Gabriel... cerca di ricordarsi il suo volto, e subito lo rivede, come se fosse ancora seduto al suo fianco, chino verso di lei. Un gran naso aquilino, quasi adunco, come un becco da uccello rapace, delle guance ossute, con le superfici marcate, gli occhi chiari con la pupilla dilatata dei drogati, un lungo corpo magro e sinuoso, delle belle mani agitate da un tremito impercettibile, ma una bocca fremente e sensibile da vecchio guitto. Il suo volto era pallido e trasparente, il pallore degli uomini che scrivono tutto il giorno con la carne che alla lunga sembra riflettere il bianco della carta. Esagerava l'agilità silenziosa dalla sua andatura, ed esagerava la curva satanica delle belle sopracciglia che si depilava come una vecchia civetta...” (Ida, p29-30)

“Era una donna anziana, piccola e pesante. Si sforzò di conferire ai suoi lineamenti un'aria gioiosa e spensierata, ma gli occhi stanchi, sotto le palpebre rotonde e pallide, si illuminarono appena. Sorrise solo con gli angoli della bocca, e il volto avvizzito, invaso dal grasso, si atteggiò subito involontariamente in una smorfia imbronciata” (Legami di sangue, p5)

“I fratelli erano diversi l'uno dall'altro, ma in una maniera misteriosa si somigliavano. Albert era un cinquantenne con il viso tondo, il cranio e la pelle rosati, gli occhi malinconici. Augustin era più piccolo, magro, con i capelli argentati sulle tempie. Aveva un volto piacevole, che stava cominciando a imbolsire, e un'aria freddolosa e assente lo faceva somigliare ogni tanto a un gatto addormentato” (Ibid., p6)

- Ida, in “Marianne”, 82, 16 maggio 1934; ripreso in Films parlés, “Renaissance de la nouvelle”, Gallimard, Paris, 1934
- Liens du sang, in “Revue des Deux Mondes”, 15 marzo e 1° aprile 1936
@Elliotedizioni, 2013, nell'eccezionale traduzione di Monica Capuani

Buona lettura :)

mercoledì 11 dicembre 2013

"Wool", di Hugh Howey

Più riguardo a Wool Il guilty pleasure della fiction distopica rapisce sempre, non ci sono scuse. 
Poi, che questo particolare tipo di science-fiction abbia a sua disposizione oggigiorno un ventaglio di possibilità narrative praticamente infinito e multiforme per quantità e qualità - virando verso il mondo letterario sottile e stratificato dello steampunk o declinandosi, come in questo caso, attraverso la più classica spettacolarizzazione dell'inquadratura cinematografica di matrice post-apocalittica, questo è altro discorso.

"Wool" è interessante per almeno due motivi: l'ambientazione fortemente claustrofobica e il tema ecologico ad essa sotteso.
A seguito di una catastrofe di dimensioni planetarie naturalmente (ancora) non ben identificata - alcuni indizi rivelano comunque una responsabilità quasi certamente umana - e a causa dell'inabitabilità del suolo terrestre corroso da terribili sostanze tossiche rilasciate nell'aria, da centinaia di anni i sopravvissuti sono costretti a vivere prigionieri di immense città sotterranee contenute in giganteschi silo. Il senso di pesante e continua claustrofobia - che deriva  da un world-building francamente ben congegnato - non è così scontato e offre un'alternativa interessante alle consuete (e forse ormai un po' abusate) ambientazioni della distopia classica, tra scenari cittadini di grattacieli diroccati e lande deserte spazzate dai venti tossici dell'inverno nucleare. 
L'autore dipinge così un'enclave sufficiente a se stessa, per il cui sostentamento è necessaria la costante attenzione, da parte di tutta la comunità stessa, nessun escluso, all'utilizzo consapevole delle risorse energetiche a disposizione: acqua, combustibili, cibo, energia elettrica. Un mondo in cui il concetto di "nuovo", quasi inesistente, è soppiantato da quello di "riciclo" e sopratutto di "riparazione" (questione, questa del riparare, tanto cara ai nostri nonni... un po' meno  a noi). Un mondo in cui ogni individuo è responsabile - più o meno attivamente a seconda delle singole capacità tecniche - del benessere della comunità: dal bambino piccolo a cui si insegna a riutilizzare, in un continuo sforzo di re-invenzione, tutti gli oggetti del quotidiano al meccanico esperto in grado di servirsi di ogni materiale e attrezzo disponibile - e di ogni conoscenza acquisita con gli anni - per costruire macchinari utili al sostentamento e riparare quelli già esistenti, ideati e assemblati da altri venuti prima di lui.

"Wool" vince col passaparola del self-publishing di Amazon: l'autore, autopubblicatosi direttamente sul sito nel 2011 con una narrazione breve e unica, ben presto acquista popolarità e viene esortato dal pubblico ad ampliare il plot, fino ad arrivare a concepire una serie composta da ben nove uscite, in cui non mancano neppure gli spin-off. L'opera è aiutata da una trama varia e ben organizzata e da un ritmo narrativo, come già detto, fortemente cinematografico (non a caso i diritti sono stati acquisiti da una major americana): se piace il genere, l'unica perplessità sta forse proprio nella serialità, che pare ormai d'obbligo in questi casi. Sono previste infatti altre due uscite ("Shift" e "Dust") e il dubbio è che si incorra ancora una volta nelle difficoltà più classiche proposte da trilogie simili: varietà eccessiva di personaggi e  di situazioni difficoltose da seguire anche a causa dei fisiologici tempi di attesa tra un volume e l'altro, per non parlare dei naturali "cali" di stile. Forse "Wool", trasformandosi da stand-alone short story a "Silo trilogy" ha perso l'occasione di distinguersi nel mare magno delle narrazioni del suo genere da cui, con un colpo di reni ben assestato, era riuscita ad emergere - e con salto doppio, contando anche gli esordi in autopubblicazione. 

Buona lettura :)