Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
Di cosa avete bisogno? Un thriller da leggere sotto l'ombrellone? Una commedia di raffinato humour per il fine settimana in campagna? La lettura di quel certo testo che vi incuriosisce tanto (ma che ancora non avete osato acquistare) deve essere di necessità attenta e scrupolosa oppure può adattarsi anche alle cinque fermate di metrò, il tragitto che tutti i giorni percorrete per andare al lavoro?
Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

mercoledì 31 luglio 2013

"La nemica", di Irène Némirovsky

Più riguardo a La nemica Luglio 1928. Tra una pagina e l'altra di David Golder, Irène Némirovsky scrive e fa pubblicare sotto lo pseudonimo di Pierre Nerey il racconto lungo “L'Ennemie”.

D'obbligo, per non rimanerne delusi, avvicinarsi a questo testo, inedito in Italia e ora proposto (Febbraio 2013) da Elliot, più con intento squisitamente letterario che con pretesa di immedesimazione, impregnato com'è di elementi autobiografici e ingredienti evidentemente melodrammatici, data l'epoca e il contesto storico-sociale nel quale risulta inserito.

Il rapporto violento e distruttivo di una figlia con la propria madre è al centro della trama e rispecchia pienamente la relazione travagliata di Irène con Fanny: “Raffinata e autoritaria: così doveva restare Fanny nella memoria familiare, e così l'ha dipinta la figlia nel romanzo della propria infanzia amara [Le Vin de solitude, I 7]: Alta, ben fatta, con un portamento regale. In realtà era piccola, un metro e sessanta al massimo. Sempre incipriata anche in tarda età, sempre timorosa che i baci della figlia potessero rovinarle il trucco e sempre allegra, perché la tristezza invecchia e sciupa il viso (…) Ma Anna Margulis era una donna, oltre che lasciva e bugiarda, anche venale” (OPhilipponat / PLienhardt, La vita di Iréne Némirovsky, Adelphi 2009 p34)

Il titolo dell'opera, che è tratto da un sonetto di Baudelaire: “Fu la mia giovinezza un uragano cupo: | improvviso splendeva di tanto in tanto un raggio. | Fulmini e pioggia han fatto un tale scempio | che solo nel giardino qualche frutto rosseggia” (Op. Cit. p149) si riferisce chiaramente all'“innocenza devastata da Fanny, più rivale che madre” (ibid.). 
Effettivamente, molti gli episodi raccontati che paiono autentici, per i particolari vividi e la crudezza della descrizione accurata: la scena in cui la figlia sorprende la madre in compagnia dell'amante, oppure ancora: “Nei loro primi soggiorni parigini, i Némirovsky non potevano ancora permettersi alberghi di lusso. (…) Irocka e la governante vennero alloggiate altrove, quasi sempre in albergo di seconda categoria. La romanziera avrà così tutto il tempo di costruirsi in uno dei suoi primi romanzi, l'Ennemie, un'infanzia bohemienne. “Sapeva che non sempre era opportuno andarsi a ficcare tra le gonne di mammina quando costei passeggiava lentamente sotto gli alberi con un signore sconosciuto” (L'Ennemie I 1). La sua fu peraltro un'esistenza quasi da orfana” (Op. Cit. p31-31).
Ancora, la scena del suicidio della protagonista Gabri: “E' quasi certo che all'età di vent'anni sia stata sfiorata dalla medesima tentazione” (Op. Cit. p125) o quella della violenza carnale, che rispecchia – secondo quanto raccontato da Irène stessa in una lettera all'amica Madeleine – un episodio della vita stessa della scrittrice, fortunatamente uscita illesa dall'esperienza grazie all'intervento di alcuni amici (Op. Cit. p123-124). Oppure la descrizione di Biarriz (“Una novella Sodoma” - Op. Cit. p138) e dell'Hotel du Palais, frequentato con regolarità dalla famiglia Némirovsky:

http://it.wikipedia.org/wiki/Biarritz
e anche – da qui il nome “Génia” (l'amante violento di Gabri) – la maledizione dell'ereditarietà del sangue (Irène non fa mistero delle sue avventure di gioventù, specie durante gli anni della Sorbona passati tra amicizie, divertimenti, balli e notti insonni).

Eppure a Iréne questa vendetta truce e sadica non porta alcun benessere: nel racconto, il complesso rapporto tra la figlia e la madre viene ridotto ad una semplice rivalità amorosa e ciò che rimane più impresso è il sentimento negativo dell'odio e dell'autodistruzione (che più che distinguere le due donne, le avvicina e le pone allo stesso livello) piuttosto che l'orgoglio della superiorità morale. Questione spinosa che verrà risolta tra le pagine di Le Bal, uscito nel febbraio del 1929 sempre a firma Nerey: “In esso IN abbandona il tono a volte patetico dell'Ennemie per soffocare i suoi singhiozzi in una feroce risata. Quei sarcasmi, quell'arte di scrivere dialoghi grossolani ma senza compiacimento, (…) la base morale di quella violenta satira sociale saranno l'impronta del suo stile fino alla metà degli anni Trenta” (Op. Cit. p154).

Ma le due opere, pur così differenti l'una dall'altra, continueranno ad in intrecciarsi tra loro in una fitta rete di echi e rimandi, non solo sulla carta, ma anche nella trasposizione cinematografica: “Nel film (Le Bal) Rosine Kampf si fa chiamare Jeanne, uno dei tanti nomi dietro cui ama camuffarsi Anna Némirovsky. E come nell'Ennemie, è l'irruzione di un amante a provocare la vendetta di Antoniette. E' la prima volta che Irène osa sfidare così apertamente la madre, e sul grande schermo” (Op. Cit. p206).

http://www.voirunfilm.com/fiche-film/Le+bal-61305.html

Buona lettura :)

venerdì 12 luglio 2013

"Il weekend", di Peter Cameron

Più riguardo a Il weekend Cameron insegna al lettore l’arte della lettura lenta e continua. A concedergli fiato, frammentandola, ci pensa lui. Placido - ma risoluto - ti ordina di seguirlo.

“The weekend” è un’opera acerba (la prima edizione è del 1994), a tratti destrutturata, ma contiene in sé già tutti i germogli che andranno poi a comporre, maturati a frutto, le narrazioni successive.

Primo tra tutti, il gusto per il dipinto di atmosfera che tanto piace all’autore, utile e futile allo stesso tempo.

Sono i passi che più abbiamo condiviso su Twitter:

"Lyle tornò tenendo in mano la lampadina come se fosse una rarità. Era smerigliata, di un tenue rosa conchiglia. <<Proviamola>> disse. Tolse alla lampada il paralume di carta marrone e fece il cambio. La stanza si accese di un colore rosato" (p30)

"Per un'estate va bene - rispose Laura - ma ha quella terribile aria da casa in affitto" (...) "Hanno portato via tutte le cose decenti. Ho dovuto comprare delle lenzuola di cotone e della cristalleria. C'erano i bicchieri di plastica" (p49)

Nelle descrizioni degli ambienti predominano le nuance pastello, uno shabby-chic molto retrò che spazia dal rosa confetto, alle mille gradazioni del giallo (“Il colore delle pareti […] una sfumatura delicata ma brillante, come il burro genuino” - p67) , al color acquamarina (p119) di bagni e piscine – onnipresente la dimensione liquida e fredda che Cameron associa, come caratterizzante, alla stagione estiva, malinconica e sensuale allo stesso tempo: dagli specchi d’acqua assoggettati e ricreati ad arte dall’uomo (“<<Adoro nuotare. Da me c’è una piscina, ma le piscine sono sempre un po’ deprimenti. Si perde tutto il piacere naturale di fare il bagno, credo>>” – p125) a quelli selvatici, dal fascino potente e inconscio: “Non poteva dire che il fiume fosse più bello di mattina, anzi, c’erano certe sere quiete in cui veniva da piangere a guardarlo: prendeva un colore viola e sembrava fermo, come un livido in fondo al prato. Scorreva profondo e freddo e determinato, limpido e tonificante” (p11)

I passi narrativi, per la maggior parte impiegati in descrizione d’ambiente, creano quasi sempre uno scostamento percettivo: si tratta spesso di inserti creati ad arte all’interno di una scena o di un dialogo serrato e pregnante tra i protagonisti. Quasi come se le questioni si facessero troppo personali, l’autore entra in campo lungo ristabilendo le giuste, e civili, prospettive, come a voler in qualche modo preservare l’intimità e la privacy dei suoi protagonisti, limitando il lettore nella sua conoscenza di fatti e personaggi.

Altro tratto caratterizzante della narrazione, ancora in fieri (e per questo forse ancora troppo accentuata ed evidente), è l’attenzione per quella patina di teatralità, glassata e zuccherosa, o cupa e dirompente, con cui tutti noi, a volte, amiamo dipingerci la vita e su cui lo scrittore Cameron riflette, con disincantata autoironia (usufruendone e, allo stesso tempo, criticandone l’utilizzo):

“Voleva toccarlo di nuovo, accarezzargli la pelle tesa e levigata dell’avambraccio, ma gli parve un gesto eccessivo, troppo consapevole, scontato. Sembrava un’indicazione di scena in un’opera teatrale: (Lyle tocca il braccio di Robert)” (p19)

“<<Se la pittura – anzi, se l’arte in generale – intende sopravvivere, per non dire se vuole contare qualcosa, deve riallacciarsi alla vita, così come la viviamo noi>> (…) <<La gente, l’uomo, o la donna, della strada. (…) Quando una forma d’arte diventa un dialogo fra artisti perde la sua… sì, perde quel che la rende vitale, che la tiene in contatto col mondo>>” (p22)

“Durante la partita, con la mazza in una mano e il cocktail o la sigaretta nell’altra, sembrava indifferente, senza una tattica, distratto, ma verso la fine metteva da parte il bicchiere o il tabacco e in pochi colpi concludeva vittorioso la partita. Letale! esclamava, sono letale!” (p60)

“<<Ogni anno facevamo una festa per il solstizio d’estate e la gente doveva venire vestita come i personaggi della commedia, che poi recitavamo all’aperto. Lyle era sempre restio a farlo. E’ buffo come certe persone che in fondo hanno un animo teatrale, di fronte alla possibilità di recitare, si chiudano a riccio>>” (p66)

“Basta che la conversazione passi dal particolare all’astratto, pensò Marian, e stai sicura che avrai l’attenzione di Lyle. (…) <<E credi che ci sia differenza tra le arti visive e la letteratura, riguardo al comunicare?>> <<Be’, ovvio. Le arti visive non comunicano più in modo diretto, come la letteratura, ma lo scopo è quello. I quadri mostrando una scena, da cui si desume la storia, la letteratura la storia la racconta>>. <<Quindi tu parli dell’arte narrativa? (…) Ma quella è una forma morta” (p70)

“<<Quale gondolino?>> <<La barca a remi>> rispose lei. <<E allora perché la chiami così?>> <<Chissà, forse perché mi piace l'idea. Mi piace pensare che sia una piccola gondola. E' un reato?>> <<Certo che no>> <<E allora perché mi riprendi? - disse Marian - Pensi che mi piaccia avvolgere tutto in un alone romantico?>>” (p170)

Cameron in “The Weekend” riflette. Sui rapporti umani prima di tutto, come di consueto nelle sue opere, nelle quali non si può dire di certo che l’azione prevalga sul momento riflessivo, di cui essa è spesso soltanto un pretesto. E su quelle convenzioni sociali che regolano le relazioni interpersonali e a cui, volenti o nolenti, ci troviamo a dover sottostare:

“<<Di solito gli altri pensano che sono molto cinico>> disse Robert. <<Be’, non credo che oggi si possa vivere diversamente, a meno di non essere degli idioti. Ma è una seconda natura, una corazza che copre quella vera” (p130)

“Te l’ho detto che i weekend in campagna con gli eterosessuali possono essere un pericolo per la salute mentale. E’ stato orribile? Avete mangiato hamburger e giocato a croquet?” (p165)

Il mondo di Cameron è un raffinato gioco di scatole cinesi, amaro e commovente: sotto le maschere da teatro che comunemente indossiamo e che –crediamo – ci differenziano l’uno dall’altro rendendoci unici e speciali (l’ereditiera italiana di mezza età, la di lei figlia attricetta hollywoodiana, il gay critico d’arte, la coppia di eterossessuali rigidamente NewYorkesi…) vivono e bruciano i medesimi sentimenti: il timore di non essere amati abbastanza, l’angoscia per il senso della vita, l’amore filiale che porta con se, più che felicità e senso di appagamento, l’ansia e le preoccupazioni per il futuro, nostro e di chi ci sta accanto.

“Ci sono cose che si perdono e non tornano indietro; non si possono riavere mai più, se non nella copia carbone della memoria. Ci sono cose a cui sembra impossibile rassegnarsi ma a cui rassegnarsi è inevitabile. Lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un piccolo bassotto di porcellana delle White Mountains. Una marionetta del teatro delle ombre di Bali. E guarda: un calzascarpe d’avorio di un hotel a quattro stelle di Zurigo. E qua, come un sasso che porto ovunque, c’è un pezzetto di cuore altrui che ho conservato da un vecchio viaggio” (p159-160)

Vi invito a leggere le belle cose scritte, a riguardo, da @FNall.

Buona lettura :)