Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
Di cosa avete bisogno? Un thriller da leggere sotto l'ombrellone? Una commedia di raffinato humour per il fine settimana in campagna? La lettura di quel certo testo che vi incuriosisce tanto (ma che ancora non avete osato acquistare) deve essere di necessità attenta e scrupolosa oppure può adattarsi anche alle cinque fermate di metrò, il tragitto che tutti i giorni percorrete per andare al lavoro?
Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

venerdì 18 gennaio 2013

"Il Seggio Vacante", di JK Rowling


More about Il seggio vacante Eh niente, si capisce che JK Rowling sarebbe JK Rowling anche se buttasse giù due righe, così tanto per, su come ritinteggiare le pareti del garage. Detto questo, proviamo ad andare per punti, che ci pare il metodo migliore per rifletterci sopra, su questo "lavoro dell'età adulta".

First of all: cosa TROVERETE, di quella JK Rowling che già conosciamo, ne “Il Seggio Vacante”
  • La passione per la caratterizzazione dei personaggi. Che paiono sempre vivere di vita propria, anche fuori dall'opera. Ci dà l'impressione che la Rowling sia una di quelle scrittrici che ama costruire i suoi protagonisti prima di tutto fuori dal testo, creando pagine e pagine di figure complete e sfaccettate di cui poi si diverte a mostrarci soltanto una minima parte, facendoci la grazia di buttarci là, a caso ma ovvio anche no, solo qualche briciolina di scarto, così come meglio le aggrada. Irritante... ma quanto ci piace. 
  • Le trame chiuse. E' inutile, KJR non lascia mai nulla al caso o in sospeso. Stai sicuro che alla fine tutte le strade arriveranno dove devono e che tutti i fili saranno tirati e ben annodati: nétroppo, né troppo poco. Probabilmente non capiterà mai di ritrovarsi al termine di un testo della Rowling scoprendosi a pensare: “E allora?”. Chapeau, non da tutti
  • L'attenzione per il reale dell'esistenza. Poche storie, si sta parlando di vite. Niente discorsi aulici, niente monologhi d'autore o tirate da 30enni sgamate in corpi di adolescenti scombussolate dagli ormoni. Uno è quel che è, pure (e soprattutto) con i suoi discorsi malmessi e le sue sparate illogiche (ve lo ricordate Harry? Il mago del “faccio-la-cosa-giusta,-ma-certo!-Come-no,-ohoh-ma-solo-dopo-averne-segate-altre-mille”. Per non parlare di Severus Piton, che non per niente diverse riviste critiche internazionali hanno indicato, specie dopo l'uscita del volume “Harry Potter & the Half-Blood Prince”, come uno dei personaggi letterari più riusciti di tutti i tempi) 
  • Lo stile. Equilibrato e teso tra dialoghi e parti descrittive: gli uni, pregnanti e mai troppo lunghi; le altre, sempre funzionali allo scopo prefisso, ovvero quello della contestualizzazione massima. 
Second one: cosa invece vi lascerà stupiti, rivelandovi lati nascosti ed impensabili di quella JK Rowling che, uh uh, PENSAVATE di conoscere, ne “Il Seggio Vacante”
  • La dissacrazione massiva, metodica, sistematica ma mai, neppure una volta, rancorosa né eccessivamente interiorizzata, di quel mondo so British di cui innegabilmente la Rowling fa parte. Effettivamente ne avevamo avuto un assaggio con la britannicissima Dolores Umbridge, tutta cardigan rosa, tazze di tè e gattini dipinti sui piatti di ceramica, ma forse la cosa ci era un po' sfuggita, “mascherata” dall'enfasi posta su altri accenni relativi ad un certo, tipico way of life anglosassone che in HP veniva innegabilmente (e giustamente, visto il target dell'opera) celebrato: il college, le divise scolastiche, le tradizioni plurisecolari, l'architettura vittoriana, il pudding e le colazioni pantagrueliche, la nebbia londinese e i paesaggi mozzafiato del nord innevato. Ed è curiosa questa cosa, per due motivi: sia perché ipso facto caratterizza, di rimbalzo, Harry Potter come un romanzo a destinazione prettamente giovanile nel quale si esaltano, correttamente, alcune carratteristiche a scapito di altre (ma solo in apparenza, dal momento che MAI il lettore viene tenuto all'oscuro, disseminato com'è il testo di indizi e ammiccamenti sulla questione), sia perché ci fa comprendere appieno di come JK Rowling sia capace di BEN altro, se ci si mette di impegno 
  • Chiaramente, i temi adulti e il grottesco del reale. In un paesino di provincia, la prematura dipartita di un agguerrito consigliere comunale scatena una serie di eventi dal potere incontenibile e fortemente grottesco proprio per l'evidente incongruenza della situazione paradossale: un gruppo di “paesanotti”, convinti di far parte non di un mediocre consiglio comunale di una qualsiasi delle tante cittadine che popolano la campagna inglese, ma addirittura delle Houses of Parliament, si trova a scannarsi nel più brutale dei modi tra accuse reciproche e rivelazioni sconvolgenti e scandalose (con buona pace dell'ipocrisia fino a quel momento dilagante) che spaziano dallo scandalo sessuale (la moglie 45enne del candidato conservatore favorito che se la fa, o tenta di farsela, con il primo teenager che le capita a tiro) agli episodi del classismo più colonialista e socialmente deplorevole (la leader dell'opposizione, di origini indiane, vittima di un razzismo esaperato da parte del presidente del seggio che si è come dire dimenticato del fatto di essere stato salvato in extremis, dopo un infarto miocardico, dal di lei marito, emerito cardiochirurgo; la vicenda fortemente strumentalizzata di una realtà familiare dei bassifondi, tra violenze domestiche, tossicodipendenza, prostituzione minorile) 
  • Sotto capitolo a parte riguarda gli adolescenti – che, diciamocelo, non è che ne vengano fuori un gran bene. Beh, che ci si poteva aspettare, visti i genitori? Sì perché la guerra combattuta dagli adulti membri del consiglio comunale ha come contrappunto quella, in qualche modo molto più cruenta, quasi di trincea, dei rispettivi figli, che frequentano per la maggior parte la high school locale. Se in HP i “giovani cattivi” si contavano sulle dita di una mano ed erano chiaramente identificabili – e identificati – grazie all'appartenenza ad una specifica “casa”, qui le cose si fanno difficili, e più reali. Si va dalla doppiezza quasi psicopatica di quello che da tutti è considerato il prototipo del Bravo Ragazzo, alla bruttina dislessica che inspiegabilmente sarà l'unica a far breccia nell'animo inaridito della graziosissima e quotatissima new entry appena trasferitasi da Londra e sarà capace perfino di un atto di grande coraggio e sacrificio, fino al giovanetto brufoloso e scipito, sempre a rimorchio dell'amico più sgamato, che ad un certo punto non ne potrà più, del ruolo di spalla a cui pare delegato a vita. 
  • Il punto di vista interno multiplo, che rende pari il narratore al lettore poiché cancella l'onniscienza tipica della narrazione esterna. Perché nessuno (né adulto, né adolescente) è, alla fine, quello che appare. E tutti gli abitanti di Pagford hanno qualcosa che - non c'è storia - te li rende indigesti. Almeno un tantino. E per questo, così veri.
Last but not least: breve compendio sui personaggi, che poi impari a conoscere e mandi a memoria ma le cui vicende, almeno all'inizio, può risultare un momento difficile seguire, visto il tripudio di nomi, cognomi, ruoli, professioni e legami parentali. Questione adeguatamente risolta dall'editore. Se la casa editrice ce lo consente, ci permettiamo il link.

Buona Lettura :)

venerdì 11 gennaio 2013

"La Trilogia Steampunk", di Paul Di Filippo


More about La trilogia Steampunk, vol. 1 Piccolo breviario steampunk, e per chi volesse affrontare la materia per la prima volta e per i fedeli puristi nel caso in cui volessero ritornare alle origini e alle linearità di un sottogenere letterario “di nicchia” poi inevitabilmente trasformato dal trascorrere degli anni e dalla fama crescente. 

Un must have, dunque, non fosse altro perché PdiFilippo (Providence, Rhode Island, classe 1954) altri non è se non colui che per primo ebbe l'ardire di utilizzare il termine steampunk ficcandolo direttamente in prima pagina, all'interno di un titolo, e classificandone così, imperituramente, il genere. 

Parliamo di breviario steampunk perché la Trilogia contiene in sé, per temi e struttura, alcuni dei tratti fondamentali di questo sottogenere letterario fantastico/fantascientifico che, di fatto, nelle opere di altri autori successivi si sono un po' persi, o si stanno perdendo, a favore di altri tipi di narrazione vicina al romance più o meno commerciale (i.e. qui) e/o a temi di carattere esplicitamente sociale (regimi militari, colpi di stato, realtà politiche alternative etc). 

Uno di questi temi “a grado zero” è rappresentato dall'ironia e in special modo dal dissenso, espresso attravero la satira, nei confronti del tempo passato rappresentato (in questo caso, l'epoca Vittoriana) che quindi in qualche modo diviene anche critica verso il presente, in un gioco consapevole di continui rimandi metaletterari. Ecco il senso del “punk” che va a formare il neologismo assieme allo steam – del vapore e delle aeronavi, due dei tratti caratteristici delle ambientazioni di genere, che tuttavia, nel caso di PdiFilippo, non sono certo accessori, ma neppure sostanziali, poiché l'autore (altro tema zero del nostro breviario) predilige al particolare del “gadget” (*), che pure non manca, quello della contestualizzazione e della ambientazione. 

The Steampunk Trilogy è pubblicata in USA nel 1995 e consta di tre racconti distinti: “Victoria” (USA 1991, Italia, Ed. Nord, 1996), “Hottentots” - più che un racconto, un romanzo breve, e “Walt and Emily” (entrambi inediti in Italia): tutti e tre meritevoli di essere letti, riletti e copiosamente citati proprio perché, pur nelle loro evidenti e necessarie differenze di temi e stile, condensano in sé quelle peculiarità omogenee che hanno fatto dello steampunk delle origini un genere così particolare e definito. 

Il testo è corredato dalle belle immagini di Luca Oleastri e dall'interessantissima prefazione a firma Salvatore Proietti (*)

Buona lettura :)

mercoledì 2 gennaio 2013

"L'ultimo uomo nella torre", di Aravind Adiga


More about L'ultimo uomo nella torre Meh sì, lo sappiamo: tra voi ci sono molti nasi fini di ballardiana memoria. Déjà-vu, quindi, a leggere “L'ultimo uomo nella torre”? Abbastanza, giacché di queste dinamiche “sociogeografiche” (o meglio: psicogeografiche) ne aveva discusso abbondantemente il nostro di cui sopra, giusto qualche anno in anticipo rispetto ad Aravind Adiga. Nelle opere della maturità, l'occhio acuto di Ballard era passato dall'analisi fantascientifica di un ambiente esterno (ie “Il mondo sommerso” - 1961) a quella, meno fiabesca e più consapevole, relativa all'ambiente interno, di cui “Il condominio” (aha!) datato 1975 e “Super-Cannes” (2002) sono testi paradigmatici. 

Sempre medesimi i temi su cui lo scrittore all'avanguardia della narrativa inglese - nato nel 1930 a Shangai, internato in un campo di prigionia a seguito dell'attacco a Pearl Harbour e tornato in patria solo nel 1946 – si interrogò spesso nelle sue opere: 
  • la violenza con connotazione non individuale ma sociale, specie se espressa in un contesto fortemente strutturato (il campo di prigionia, il condominio, il residence di lusso) che al contrario dovrebbe limitare i propri istinti antisociali garantendo e preservando la quotidianità 
  • la ricontestualizzazione del brutto e del fuori moda rispetto allo stile, alla pulizia delle linee (degli oggetti e... delle persone), e al design, quasi che il dilagare degli aspetti primitivi dell’esistenza fosse, piuttosto che da rifuggire, quasi da desiderare 
  • il mondo nuovo tendente al caos, attraverso la costituzione di un nuovo ordine sociale frutto di una re-interpretazione del presente 
  • la malattia mentale come strumento d'eccellenza per la comprensione della realtà mutata di cui al punto 3 
E quindi? Quindi prendiamo a prestito qualche nota qua e là, pescando nell'infinito mare dell'avventura di Yogesh A. Murthy detto Masterji, professore in pensione, vedovo da poco più di un anno, una figlia morta bambina a causa di un incidente ferroviario e un figlio sposato ad una moglie acida che limita al minimo i contatti tra padre e figlio e tra nonno e nipote. Avventura che inizia nel momento in cui lo scaltro costruttore edile (il “palazzinaro”) Dharmen Shah offre ai condomini dello stabile A della Vishram Society due volte e mezzo il valore dei loro appartamenti; stabile che Shah desidera abbattere per poi costruire al suo posto un super complesso residenziale in stile “gotico” con tanto di tocchi indu e Art Deco. Quel che accade è noto, se ci riferiamo sempre al nostro Ballard d'annata (1975 & 2002): 

Le differenze di ricchezza fra i condomini non passavano inosservate – l'estate prima Mr (…) aveva portato la famiglia nel (…), e l'agente immobiliare Mr (..) aveva una Toyota Qualis – ma si trattava di semplici alti e bassi nell'uniformante squallore (…). La vera distinzione consisteva nell'andarsene dallo stabile” (pag 31) 

Qual è la definizione di una città morente (…)? Glielo dirò, visto che lei non lo sa: una città che smette di sorprendere” (pag 47) 

Nei vecchi condomini la verità è una cosa comunitaria, un consenso d'opinione (…) a prezzo di una certa quantità di rabbia accantonata, di una certa quantità di orgoglio ingoiato, sarebbe stato riammesso nella vita comunitaria dello stabile” (pag 203 e 206) 

Strattonò il cavo del telefono per staccarlo dal muro” (pag 220) 

Bloccò la porta con il tavolino di tek (…). 'Dunque sono rimasto l'ultimo uomo del condominio', pensò” (pag 242) 

Ora (…) usciva solo due volte al giorno (…). Prese a concedersi un sonnellino pomeridiamo” (pag 253) 

Non lo consideravano più un essere umano... uno che ha bisogno di acqua e di luce” (pag256) 

Sta trasformando delle brave persone in cattive persone. Sta cambiando la nostra natura. Perché vuole che siamo noi a farlo (…). Quello che gli altri costruttori fanno a quelli come lui in situazioni come questa” (pag 297) 

(...) spinse il divano contro la porta, per barricarsi in vista di un secondo attacco. (…) Riempì una pentola d'acqua, accese un fornello e mise l'acqua a bollire. Gliel'avrebbe versata in testa quando fossero tornati. In ginocchio, esaminò la bombola del gas. Magari poteva fargliela esplodere in faccia?” (pag 318) 

La polizia non è venuta. Perché non l'ha chiamata?” (pag 324) 

Ma (…) si rischia di finire in prigione! (…) E vivere in questo edificio per il resto della vita sarebbe meglio che finire in prigione?” (pag 336) 

Il merito di Adiga è indubbiamente quello della contestualizzazione. Ex corrispondente del “Times” direttamente da Mumbai, dove risiede, e vincitore del prestigioso Man Booker Prize nel 2008 con "La tigre bianca" (Einaudi), Adiga possiede la capacità di scrutare con occhio clinico e imparziale una città in costante e continuo mutamento, rendendone esplicite tutte le intrinseche contraddizioni. La Mumbai del cemento e dei fantasmagorici centri residenziali in divenire, progettati dai più valenti ingengneri nazionali e internazionali ma costruiti, mattone dopo mattone, da innumerevoli (e sacrificabili) schiere di immigrati senza fissa dimora che in cambio di una paga irrisoria si intossicano i polmoni con le fibre di amianto. La Mumbai degli slum cresciuti catapecchia dopo catapecchia ai margini dell'aeroporto intenazionale, tra gli scarichi dei 747, le cloache a cielo aperto e le mille antenne paraboliche montate sui tetti di lamiera. La Mumbai del sistema delle caste, oramai in declino, il cui “ordine” viene ora sostituito dall'anarchica corruzione dei pubblici uffici e dalla burocrazia anglo-indiana, infinita e inestricabile. 

Che poi, la questione delicatamente inquietante è pure un'altra; che in certi casi si potrebbe avere il sentore sì di un déjà-vu, ma non ballardiano, stavolta: 

Guarda i treni di questa città. Guarda le strade. I tribunali. Niente che funziona, niente che si muove; ci vogliono dieci anni per costruire un ponte” (pag 61) 

(...) sedurli con sorrisi e strette di mano, arruffianarsi i bambini piccoli come fanno i politici” (pag 86) 

Odiava quelle assemblee condominiali: ogni volta che tenevano la riunione annuale della cooperativa, lui si sentiva in imbarazzo per i battibecchi fra vicini, le accuse meschine (…). Come donne al mercato del pesce” (pag 103) 

(...) era iniziata una stagione di forza di volontà: l'alleanza di corruzione, filantropia e inerzia che li aveva protetti così a lungo si stava disintegrando” (pag 136) 

L'area (…) come avrebbe retto a tutte quelle nuove abitazioni... e cosa ne sarebbe stato della viabilità?” (pag 155) 

(...) questi vecchi dissidi, queste vecchie mechinità... devono finire. E' questo il motivo per cui nel nostro paese non concludiamo mai niente” (pag 170) 

(...) Tutti lo sanno, ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di dire: 'Rallentiamo. Fermiamoci. Pensiamo a quel che sta succedendo” (pag 213) 

Siamo un popolo cavilloso (…) un popolo melodrammatico (…) vediamo troppi film” (pag 244) 

Buona lettura :)