Chi siamo (e come funziona)

Guardate, spulciate, leggete a piacere: qui si scrive per voi. Di libri.
Di cosa avete bisogno? Un thriller da leggere sotto l'ombrellone? Una commedia di raffinato humour per il fine settimana in campagna? La lettura di quel certo testo che vi incuriosisce tanto (ma che ancora non avete osato acquistare) deve essere di necessità attenta e scrupolosa oppure può adattarsi anche alle cinque fermate di metrò, il tragitto che tutti i giorni percorrete per andare al lavoro?
Qui, di opere, ne troverete alcune. Lette e poi schedate per "modalità di lettura" (veloce, lenta, frazionata, continua...); utilizzando le etichette cercate quella che più vi piace, quella che più sentite vostra, quella che più si adatta alle vostre esigenze del momento.
Perché, non temete, c'è sempre un libro giusto al momento giusto. Conclusa l'opera, tornate qui: per ogni libro consigliato viene pubblicata una banale guida alla lettura, senza pretese. Si tratta solo di alcune note che si spera possano esservi di aiuto per approfondire, magari solo in parte, le scelte stilistiche dell'autore, i legami sottesi alla trama, la psicologia dei personaggi.
Quindi... Buona lettura! E se avete domande, complimenti, stroncature terribili ... scrivete! info@appuntidicarta.it ADC risponderà a tutti! (O almeno, farà del suo meglio). Trovate ADC anche su Twitter.

Bio: ufficialmente, ADC è una delle tante invisibili e silenziose figure che popolano il vario mondo delle CEO's PA.
Di solito quando non lavora (ma anche - ogni tanto - quando lavora: il suo capo è uno comprensivo) legge.
Siccome ha studiato il greco antico per dieci anni, non disdegna qualche capatina nella filologia classica, se l'occasione lo richiede.

venerdì 20 gennaio 2012

"La Bambina di Neve", di Eowyn Ivey


More about La bambina di neve 
La meravigliosa e tragica storia di Snegurocka, la bambina di neve, declinata in tutte le sue alternative regionali, dalla Russia ai paesi Scandinavi, è una fiaba antica e misteriosa che ha la capacità di mostrarsi nel suo significato principale, pregnante – eppure senza clamore, nel più completo silenzio e riserbo (fiocchi di neve piccoli e delicati, pronti a sciogliersi e a svanire al primo sole di primavera) - soltanto ai bambini molto piccoli. 
E per far sì che l’epifania abbia luogo in tutto il suo essere occorre sottostare inoltre ad un tacito, ferreo rito di iniziazione: il narratore delle vicende, così tenere e drammatiche, della bambina di neve (parole sussurrate durante una fredda sera di inverno, al chiarore tenue della lampada che illumina una stanza da letto calda e sicura) deve essere soltanto uno: colui che sia – oppure sia stato - genitore a sua volta. 

Perché soltanto così, dal sangue diretto, sarà mitigata la violenza della favola: dal ripercorrere attraverso le parole – ovvero, identificando tramite le codifiche rassicuranti del linguaggio e della narrazione - ciò che il proprio corpo e il proprio spirito hanno affrontato, inconsapevolmente, in un passato vicino, o anche lontano. Una catarsi maieutica, un percorso di conoscenza che riporta al significato allegorico principe delle fiabe antiche. 

Il miracolo della nascita, affrontata dalla madre tra il sangue e il dolore (e pure nella bellezza di un concepimento che non passa di necessità dal ventre materno ma che può essere anche soltanto immaginato, sognato, plasmato nella neve); quel primo momento di contatto tra il viso della donna e la pelle calda del neonato, la cui temperatura rimarrà impressa, marchio di imprinting animale, tra le pieghe della memoria e guiderà quel gesto antico, di tutte le madri del mondo, quando posano le labbra sulla fronte di un bambino – non solo del proprio – a riconoscere senza tema di errore le prime tracce di una febbre incipiente. 
La fatica del bambino, a trovare la propria strada verso il seno e il latte materno, identificando quell’odore dolce e denso che, per paradosso, costringerà la madre ad affidarlo alle braccia di altri, quando non occorrerà nutrirlo, per far sì che il piccolo, attraverso l'allontanamento e poi la successiva riconciliazione fisica, impari a percepire la differenza tra se stesso e la madre e nel contempo si abitui alla presenza del padre e dei familiari.

Il genitore, raccontando la vicenda – infinita, circolare, sempre diversa eppure sempre identica – della bambina forgiata dalla neve interpreta, attraverso il figlio in ascolto, la propria, personale storia alla luce della verità dell’esistenza fatta di nascita e crescita ma anche di abbandono, morte e disperazione.

Perché soltanto la presenza del figlio (gli occhi sgranati in ascolto, le guance arrossate dall’emozione, la mano calda stretta in quella del genitore), nel caldo conforto della cameretta lievemente illuminata, potrà rassicurare la madre che altrimenti, da sola, non possederebbe né la forza né il coraggio necessario per continuare la lettura fino alla tragica conclusione della storia (un vecchio libro dalla copertina in pelle azzurra, abbandonato sugli scaffali alti di una libreria polverosa, mai più aperto da anni); perché soltanto la figura della madre, china sul letto del bambino, potrà confortare il figlio che percepirà, sempre chiara ed evidente, la presenza salvifica del genitore nel momento del bisogno, della malattia, della disperazione (una madre ammantata di neve, accoccolata al capezzale improvvisato di una figlia in agonia) e lo aiuterà nell’interpretazione – attraverso l’allegoria della fiaba – del mondo circostante. 

La verità però a volte è molto più semplice della letteratura. Il bambino che, mentre tu leggi Eowyn Ivey, dorme nella stanza di là - un piedino umido e scalzo a penzolar dal materasso - non è tuo figlio. E' una creatura fatata, ali di folletto o di angelo, che qualcuno ha posato nelle tue mani, in una mattina di primavera inoltrata il cui ricordo, in te, è così vero e chiaro, ma di cui - al tempo stesso - non conservi memoria cosciente alcuna. Quella creatura non ti appartiene, non è tua, ti sussurra Snegurocka - ed è per questo che la lettura è tanto difficile.
Ti è stata solo data in prestito, per quanto tempo non sai. Un giorno seguirà la sua strada e tu non potrai più tenerla con te.
Perché l'amore per un figlio non è una coperta di lana pesante che copre e riscalda. E' un malestrom che ti lascia naufrago e nudo, esposto ad un vento freddo di tempesta che non smetterà mai di soffiare.

La ricontestualizzazione della fiaba di tradizione popolare è un processo letterario di attualizzazione della narrazione tradizionale che sta prendendo piede specificatamente oltre oceano e che in questo caso ha il merito di gettare luce, in particolare, su quel mondo misterioso e sommerso, perché spesso taciuto, della maternità dolorosa
Se n’era già parlato a proposito di "Quando la notte"
E’ il lato più profondo e buio del libro, quello che forse risulta più ostico da comprendere per chi genitore non ha avuto (ancora) l’occasione di diventarlo: il dolore fisico del parto e dell’allattamento (non permettere al bambino di mordere il capezzolo, o te ne pentirai), il senso di colpa nel momento del distacco, la scabrosità orribile di quel desiderio così intimo e violento che, anche una volta soltanto, ogni puerpera del mondo ha percepito chiaro in sé: abbandonare la creatura a cui ha dato la vita, per salvare se stessa. 

A questo proposito vorremmo accennare alla raccolta poetica "L'innocenza perduta" di Michela Miti edita da Mondadori e presentata, tra l’altro, qualche settimana fa, al programma tv La Compagnia del Libro. I brani presentati dal conduttore - e interpretati dall’autrice – ci hanno affascinato per il profondo e attento interesse della poetessa verso le tematiche della maternità: attesa e desiderata, ma anche, e molto più frequentemente, subìta o negata.

martedì 10 gennaio 2012

"Vampire Empire" - part I, di Susan and Clay Griffith

More about Vampire Empire
Ovvero, se proprio vuoi sognare, almeno fallo in steampunk, che di certo non te ne pentirai.

Un po’ di storia. Il termine steampunk nasce (così pare) negli anni ’80 ad opera dello scrittore JWJeter, impegnato nella ricerca di qualcosa che, al pari del neologismo cyberpunk, definisse nella sua unicità le opere sue e di alcuni altri suoi colleghi autori che, contestualizzate nell’epoca ottocentesca, e in particolar modo vittoriana, seguivano i topoi della fantascienza al secolo contemporanea - da HGWells a Conan Doyle.

Da qui alle ambientazioni del video You&I di Lady Gaga, c’è da dire che lo steampunk ne ha fatta di strada, andandosi a definire, nel corso degli anni, nella sua interezza (di nicchia): ovverosia, quel filone della narrativa fantastica, e anche fantascientifica, che ha come caratteristica base, e sine qua non, l’ambientazione storica futura – di caratteristica prettamente Ottocentesca - in cui viene introdotta a forza una tecnologia del tutto anacronistica per l’epoca.
A far da padroni, il vapore (steam) al posto dell’energia elettrica, il magnetismo, i grandi meccanismi frutto dell’energia meccanica e i congegni ad orologeria. E tanti saluti al cyberpunk elettronico.

Il significato del termine si è a mano a mano ampliato arrivando a definire tutta quella serie di narrazioni fantastiche (talvolta pure extra-terrestri) ambientate anche in momenti diversi, successivi, all’Ottocento, momenti che tuttavia conservano in sé evidenti tracce del secolo di cui sopra. Si parla anche, in alternativa, di speculative fiction quando si voglia dare particolare enfasi all’attenzione specifica che il genere riserva alle tematiche della rivoluzione industriale e della ricerca scientifica (anche anatomica e medica), e quando si parla di steampunk occorre tenere ben presenti – almeno per i prodotti letterari dagli anni ’90 in poi – anche le caratteristiche horror e gotiche che il genere ha assunto.

Parlando di steampunk non si può evitare di far riferimento ad altri due concetti precipui del genere: la distopia e l’ucronia. In breve. Con il termine distopia si intende riferirsi, nello specifico, al concetto di utopia negativa: al posto di una realtà ideale, idilliaca, viene proposta un’altra realtà certo sempre fittizia, ma di carattere totalmente opposto, ovvero indesiderabile. Si va dalla rappresentazione di scenari post-apocalittici (ne avevamo parlato anche qui, con “The Passage” , uno degli ultimi più riusciti esempi di fantascienza post-apocalittica appunto) alla ricostruzione di una società futura (come nel caso di Vampire Empire) in cui particolari tipi di corporazioni o gruppi di potere hanno preso il sopravvento sul consueto vivere civile, minandone le caratteristiche salienti (libertà di culto, espressione, movimento, circolazione delle merci etc) e favorendo la nascita e la proliferazione di società segrete, riti dell’occulto, teorie del complotto.
Il termine ucronia – più conosciuto come “alternate history” soprattutto nel mondo anglosassone, identifica quel particolare processo di finzione letteraria (di genere chiaramente fantascientifico) che vede la rappresentazione in scena del “cosa sarebbe successo se”: cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la guerra, cosa sarebbe successo se Cristoforo Colombo non avesse scoperto l’America e via di seguito.

Ebbene, in Vampire Empire tutto questo c’è. E per nulla infilato così alla bell’e meglio.
La narrazione, sostenuta da un ritmo sufficientemente incalzante, alterna in maniera convincente:

  • l’avventura nella sua essenza più pura e spregiudicata (esemplificata, da una parte, dal personaggio dello “Spadaccino Mascherato”– che pare uscire direttamente da un libro di favole per bambini di inizio ‘900, tra cappa, spada, onore da difendere, fanciulle da salvare e marrani da sconfiggere a suon di duelli all’ultimo sangue [sangue, per l’appunto – ndr] – e dall’altra dal capitano sbruffone, poco cervello e tutto muscoli bombe navi e spari sonanti)
  • la caratterizzazione steampunk, distopica e ucronica (evidente è l’ambientazione ottocentesca, tra una Londra fumosa e inquietante e le terre fertili dell’Egitto, una delle mete preferite, esoticamente ed esotERicamente più connotate, che caratterizzavano i “Grand Tour” dei giovani della Upper Class inglese all’apogeo dell’Impero. Puntuale è la descrizione degli strumenti meccanici in uso e non mancano accenni alla scienza e alla medicina – vedi il manuale di anatomia vampira che circola tra le pieghe delle pagine, sempre presente, sempre nascosto. Altrettanto ben identificata è la tematica della società piegata alle corporazioni e alle lobbies – sia umane, sia vampire – e la presenza dell’occulto e delle società segrete, nonché la parte relativa alla religione e al misticismo)
  • la love story (che c’è, eccome se c’è)
  • e last but not least la tematica vampiresca.

Spendiamo una parola per questi vampiri steampunk che per una volta tanto tornano ad avere i canini ben affilati: non frequentano le high schools, non partecipano ai prom, non hanno la patente e, non c’è alternativa veg che tenga, necessitano di una dieta ferrea per il proprio sostentamento.
Il vampiro di VE riprende, con scostamenti minimi, l’iconografia classica del genere, quella tipicamente nord-europea, corredata da tutto il kit di sopravvivenza che include ferocia, crudeltà, spargimento di sangue, lotte per il potere, disinteresse (quasi) totale nei riguardi della sopravvivenza del genere umano.
Eli, nostra prima e unica, viscerale passione vampiresca, non è poi così lontana.

Per altro – nota a margine - quando ci si mettono, i vampiri di VE si impegnano a salvare donzelle (umane) che per loro stessa natura non avrebbero assolutamente bisogno di essere salvate da alcunché – dato che se la cavano benissimo anche da sole. Fanciulle che hanno ben evidente il proprio ruolo nell’economia del mondo e non esitano di fronte a quello che potrebbe essere meramente identificato come “sacrificio di se stesse” ma che invece è da interpretarsi come (certo, stiamo parlando di fiction, teniamolo sempre a mente) responsabilità verso il vivere sociale ed etico.

La scena che ci è piaciuta di più? Il taglio dei capelli alla mohicana. Perché ha il merito di racchiudere in sé, in un unico fotogramma, la magia assoluta del ricordo, della referenza e della ricontestualizzazione: Edward Mani di Forbice e Tim Burton, l’estetica dello steampunk fatta di gothic Lolita, abiti vittoriani a brandelli, corsetti, fibbie e lacci, occhiali da esploratore, anelli e piercing, e, non per ultima, la tenerezza di un gesto intimo che nasconde in sé il germoglio di un nuovo sentimento.
Chapeau.

Nota a margine: il post di cui sopra non si arroga il diritto di aver risolto, in poche righe, l’analisi di un fenomeno in realtà così complesso quale lo steampunk, che al contrario di quanto possa sembrare condensa in sé tematiche varie e degne soltanto di un’analisi approfondita e di ampio respiro che deve toccare, per raggiungere un buon livello di struttura, anche il cinema, la musica e il fashion, oltre che la letteratura. Per cominciare, ecco a voi i link a Wikipedia che racchiudono una prima biografia essenziale (anche qui in parte utilizzata) per un approccio quanto meno “scientifico” al fenomeno.


Buone letture a tutti!
ADC Team

lunedì 2 gennaio 2012

"La casa per bambini speciali di Miss Peregrine", di Ransom Riggs

More about La casa dei bambini speciali di Miss Peregrine Dopo tanto young adult, l'horror ci riporta a casa.
Come succede(va) con LordVoldemort - quello di carta, intendiamo - di cui tutto si può dire a parte che non sia un cattivo di quelli che più classici non si può, neanche a mettercisi d'impegno. 
Senza effetti speciali. 
Solo un libro, pagine ingiallite come la carta con cui la nonna aveva rivestito l'interno dei cassetti del comò, disegni piccoli e fitti a ricordarti quel profumo di naftalina e sacchettini di lavanda ormai secca.
E vecchie fotografie che fanno più paura di qualsiasi altro daimon creato al pc.

Gli ingredienti ci sono tutti, abilmente mescolati sia nella trama sia nel packaging: un ragazzino d'oltreoceano un po' annoiato un po' sfigato, una famiglia a disagio con se stessa e un nonno che nell'armadio del tinello non conserva marmellate di frutta e salvadanai pieni di monetine ma un arsenale di fucili tutti lucidi e carichi e una scatola di vecchie foto che solo a sfiorarle ti viene la pelle d'oca. 
C'è la fiaba prima di dormire che presto si trasforma in un incubo senza inizio e senza fine, c'è il buio con i suoi mostri più classici, quelli che stanno nascosti sotto il letto e vengono fuori con artigli affilati, alito mefitico e zanne velenose, c'è la contestualizzazione storica fatta di U-boot, soldati in trincea, vecchio mondo in fiamme e, nascosto tra le pieghe della narrazione, e per questo sempre ben evidente a tutti, l'orrore di un filo spinato tracciato a carboncino su un vecchio muro dalle mani leggere di un bambino sperduto e visionario.
E poi, come in ogni favola che si rispetti, c'è il viaggio, il romanzo di formazione, l'iniziazione alla vita adulta.


Ci sarà un seguito? Probabile, e siamo curiosi. 
Ci sarà un adattamento cinematografico? Forse ahinoi sì, peccato, vien da dire. 
Perché questo è un libro di quelli che non hai voglia di mettere via; perché anche se l'hai finito le sue pagine non sono sgualcite, eppure le senti disallineate in costa, spanciate sulla sinistra, e un po' più pesanti di prima al tatto, e ti piace rigirartele tra le mani. Perché anche se l'hai finito lo tieni lì, sul comodino: sai che nel momento esatto in cui lo riporrai sullo scaffale, già ti mancherà.